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Tamerisco XI parte seconda

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XI

L’amore divenuto impegno e fatica





Il mattino seguente Michele mi chiamò in Biblioteca per dirmi di non allarmarmi se avessi visto un tale dinanzi al mio portone: “Non è un delinquente, né un mio parente! Ho messo un poliziotto in borghese a sorvegliare, diciamo a guardarsi attorno” Gli chiesi se c’erano novità. Mi rispose tagliando corto che non c’era nulla di nuovo.

Mi pareva di buon umore e questo mi tranquillizzava, sebbene non capissi la necessità di fare sorvegliare il mio palazzo. Poteva essere che sospettasse che i malviventi o il pazzo, non sapevo più cosa pensare, si preparavano a visitare di nuovo il mio appartamento?

Nel rientrare a casa mi guardavo attorno per capire chi potesse essere l’uomo di Tango, ma non notai alcuna faccia nuova in via Ariosto. Alle diciotto arrivò Adelina, era trafelata, aveva il viso rosa, madido di sudore. Aveva fatto le scale di corsa per avvertirmi che le era parso di vedere un uomo che curiosava dentro il portone. La tranquillizzai prendendo il suo viso tra le mani. Siccome era tutta sudata, la portai in bagno e spogliata la sollevai tra le braccia e la misi dentro la vasca ricolma d’acqua tiepida.

Il tepore e le carezze provocarono in lei un lento e profondo rilassamento.

Quando fu sul letto, aveva dimenticato tutte quelle strane vicende ed era pronta per l’amore. 

I nostri rapporti col tempo si erano complicati divenendo difficili.

Adelina era una piccola despota che esigeva ogni volta il raggiungimento dell’orgasmo, ed io confidavo oramai più sull’abilità delle mani che sulle possibilità del mio membro. Così i nostri amori erano divenuti, se mi è consentito il termine, a senso unico: io davo tutto me stesso per farla godere e lei dava se stessa per godere. Accadeva perciò che alla fine di quei rapporti defatiganti mi alzassi dal letto completamente insoddisfatto.

Questa situazione portava tensioni che covavano per giorni, fino ad esplodere poi improvvisamente a causa di una scintilla che dava fuoco alle polveri. Nascevano litigi e discussioni tanto violente quanto brevi, che lasciavano nel tessuto del nostro amore, senza che ce ne accorgessimo, numerose piccole cicatrici, piccolissimi segni indelebili, ma alla fine ben visibili, che,  messi insieme come cifre, come lettere di un alfabeto, avrebbero permesso un giorno non lontano una chiara lettura del testo. E la nostra storia, sebbene punteggiata di momenti felici, indimenticabili, sarebbe risultata essere triste e tormentata. 

Passarono alcuni giorni, la temperatura si era mitigata a causa di un violento temporale che aveva allagato i viali, ma tutti predicevano che presto al calore del sole quell’umidità avrebbe formato una cappa bollente e sarebbe stato peggio di prima.

Queste fosche previsioni mi furono riferite da Sara. Ero andato a trovarla per domandarle se nella nostra strada c’erano facce nuove.

“Vedi questa stampa? C’è rappresentata una gita in campagna. E’ del secolo scorso! Riconosci questo albero? E’ la quercia del giardinetto proprio dietro al palazzo. Non è incredibile?  Pensa com’era allora la città. Guarda come andava vestita la gente”

“A me non dispiacerebbe vestirmi in quel modo. Mi sembrano molto eleganti, e le donne erano più femminili di adesso” dissi. 

“Può darsi, ma che scomodità! Quanto ci mettevano a vestirsi ogni mattina?  E quando facevano l’amore, che fatica togliersi tutti quei busti e le gonne e le sottane”

“Eppure, forse grazie a tutti quegli strati di stoffa, le donne  erano più calde e gli uomini più vogliosi. Oggi il livellamento dei sessi, la libertà e la facilità degli incontri, la pornografia imperante ci ha resi tutti più fiacchi e indifferenti”

“Guarda che la pornografia esisteva anche allora.” Disse mostrandomi un olio che approssimativamente datava all’inizio del Settecento. “Questa immagine di martire, per esempio, con gli occhi in gloria e in mano il Sacro Cuore, ha il petto scoperto e i seni madidi di sudore, o di lacrime. Non è più torbida e sottilmente erotica della foto di due puttane nude, come si vede adesso sui giornali?” 

Mentre facevamo pressappoco questi ragionamenti, entrò la signora Rossini.

I Rossini hanno la gioielleria più bella e importante della città, che negli anni scorsi subì due grossi furti e un tentativo di scasso interrotto fortunosamente dall’intervento di un coraggioso metronotte. Il poveretto rimase gravemente ferito nella sparatoria e morì alcuni giorni dopo in ospedale. 

Da allora la signora si recava almeno due volte la settimana a trovare la vedova che abitava nel palazzo a fianco al mio: le curava la casa e l’assisteva nell’educazione dei due figli, il maggiore di nove e il più piccolo di soli tre anni. Procurava a sue spese la babysitter, quando la mamma doveva recarsi al lavoro, oppure rimaneva in casa con i piccoli, li portava a passeggio nel parco coprendoli di doni: giochi, vestiti, libri e ogni cosa che potesse essere di diletto e di utilità alla loro crescita.

I bambini avevano imparato ad amarla e la chiamavano nonna, sebbene la signora Rossini non avesse ancora cinquanta anni.

Le disavventure del negozio l’avevano resa guardinga e sospettosa.

“C’è un uomo che bussa di porta in porta dicendo di appartenere a una setta religiosa, ma da come guarda dentro casa mi fa pensare che stia cercando qualcuno o qualcosa. Non so, con i tempi che corrono bisogna fare attenzione. Non bisogna permettere che nessuno entri in casa. Ho paura persino a ricevere l’idraulico, anche se l’ho chiamato io stessa”.

Dopo, osservando il quadro della martire che Sara teneva ancora in mano “E’ possibile che  mettano in chiesa simili sconcezze? Se vedessi questa santa le direi – Signorina si copra, per favore! Prima viene la decenza e poi l’amore per Dio, e non c’è amore senza decenza - non vi pare? E al prete che l’appende in chiesa o in sagrestia direi che è un bel sporcaccione!”

Sbollita l’indignazione, vedendo che noi a stento ci trattenevamo dal ridere, sbottò in una bella risata che lasciava intravedere una bianca dentatura perfettamente curata. La figlia della Rossini era la migliore amica di Sara: una ragazza dal carattere dolce e allegro. Era di statura media, il viso non si direbbe bello ma interessante per quegli occhi neri neri che esprimevano una costante curiosità per tutto ciò che la circondava. Il naso un po’ troppo prominente e la bocca di perfetto taglio le conferivano un non so che d’antico e mi ricordavano certi ritratti di nobili fanciulle del Seicento, del Goya per esempio. Luisa, questo è il suo nome, arrivò proprio in quel momento e felice della nostra allegria ci interrogava, come fa una bambina quando non capisce i discorsi dei grandi e vuole tuttavia partecipare, oppure teme che si rida di lei.

“Ma niente! Ho appena detto a Piero che c’è uno strano personaggio, un tipo dal collo lungo e il profilo affilato, somiglia a un serpente, che bussa di porta in porta  guardando dentro casa.”

Quelle parole mi risuonarono nel cervello come lo scampanio di mille campanili. Erano il perfetto Identikit di Coito. Mi ricordai la telefonata misteriosa nella stanza d’albergo.

“Sei sempre la solita sospettosa, devi pensare che tutti abbiano cattive intenzioni. Lo dico io che sarebbe meglio disfarsi del negozio: sta rovinando mia madre nel fisico e nello spirito. Non si può vivere sempre con la paura della propria ombra!”

“Signora, quando decide di disfarsi della gioielleria me lo dica, facciamo cambio: le do questo negozio e lei mi da il suo e in più, diciamo, cento milioni. Le assicuro che sarebbe un buon affare per lei! Per lo meno ai ladri queste cose non interessano” Sara, in presenza di Luisa, si illuminava di una incredibile allegria. Spesso passando davanti al negozio le sentivo parlare e ridere. Se qualcuno dubitasse che si possa essere felici, avrebbe dovuto vedere quelle due amiche quando erano insieme.

 

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